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COMPRENDERE QUELLO CHE DICIAMO: l'importanza delle parole nella pratica dell'arte marziale.

COMPRENDERE QUELLO CHE DICIAMO:
l'importanza delle parole nella pratica dell'arte marziale.

Con questo articolo che preciso subito non è frutto del mio lavoro ma che mi è stato concesso di pubblicare in questa sede da parte di Francesco in arte Karatesen, fondatore di http://www.karatesen.it, intendo mettere a disposizione dei miei lettori questo, a mio avviso, molto importante lavoro che parla di una parola, un termine, che molti praticanti di karate (soprattutto coloro che vengono dallo stile Shotokan) utilizzano fin dai primi allenamenti ma che molto probabilmente non hanno nemmeno idea di che cosa significa o da che contesto deriva. Io sicuramente prima di essermi messo alla ricerca del significato di questo termine non sapevo quasi nulla sulla sua origine, sapevo solo che viene usato nel karate in diverse circostanze: si usa come saluto prima e dopo la lezione di karate, si usa come termine di consenso, per annuire e rispondere quando si è capito qualcosa ma anche quando non si è capito nulla. La parola in questione è "osu" (OSS).  Sono rimasto sorpreso quando ho scoperto che ad Okinawa dove questa arte marziale è nata, questo termine non solo non si utilizza ma non è proprio visto di buon occhio. Facendo quindi alcune ricerche sono arrivato a trovare diversi articoli sul tema ma uno in particolare mi ha colpito sia per l'autorità che ha la persona che lo ha scritto sia in termini di contenuto. L'articolo è stato scritto da Andreas Quast, nel suo sito (http://ryukyu-bugei.com/) in lingua inglese quindi necessitava di una traduzione all'italiano che mi ero apprestato a sviluppare con consenso stesso dell'autore. Caso vuole che prima di iniziare il lavoro di traduzione ho trovato il lavoro di Francesco Sensi che aveva già tradotto da tempo questo articolo in maniera precisa e quindi ho deciso di contattarlo ed ho avuto il suo via libera per pubblicarlo qui sul mio blog. 

Vi lascio dunque a questa interessante lettura certo che darà a molti un'importante fonte di riflessione.
Dai Nippon Butokukai di Kyoto

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"OSU" O NON "OSU": QUESTO NON È UN DILEMMA

Questa è una traduzione autorizzata dall’autore (Andreas Quast) dell’originale To Osu, or not to Osu: it is not a question nel blog di Andreas Quast

Da quando il mio collega Andrzej ha saputo che pratico karate, ogni tanto mi si avvicina ed esclama un “Osu!” convinto, con la tipica foga di chi fa Kyokushinkai. A me non ha mai dato fastidio, lo trovavo anzi divertente. È stato detto di tutto su cosa voglia dire Osu, su come il termine si sia evoluto etimologicamente, quando va usato e quando no. Anche io ho una mia qualche ponderata opinione sull’Osu e le sue ragioni storiche.

Ecco cosa ne penso io.

La “Società delle Virtù Marziali de Grande Giappone” (Dai Nippon Butokukai) fu fondata nel 1895. Quello fu l’anno della vittoria giapponese sulla Cina, successo che pose fine alla millenaria egemonia culturale e bellica del “Regno di Mezzo”. Lo scopo della Butokukai era quello di promuovere il bujutsu (ndt. “arti marziali, del combattimento”) e di galvanizzarli con lo “spirito marziale” dell’Imperatore Kammu (regnante dal 781 al 806) in un’ideologia di Spirito Giapponese (wakon 和魂), più tardi propagandato dai nazionalisti giapponesi come “l’indomabile, coraggioso e temerario spirito del popolo giapponese” e come una delle dottrine chiave del militarismo nipponico. L’edificazione della Sala delle Virtù Marziali (Butokuden) fu completata nel 1899 vicino al Tempio Heian di Kyoto, mentre altre branche della Butokukai vennero istituite in tutto il paese. Ogni anno, a Maggio, la Butokukai organizza il suo Festival delle Virtù Marziali (Butokusai), dove per la prima volta fu presentato il karate di Okinawa in Giappone.

Nel 1905 la Butokukai aprì un istituto d’istruzione privata a Sakyo, un distretto di Kyoto. Divenne poi famoso come Dai Nippon Butokukai Budō Senmon Gakkō o “Scuola Specializzata nel Budo della Società delle Virtù Marziali del Grande Giappone”. Costruito e gestito dalla Butokukai, la scuola preparava gli istruttori di bujutsu – principalmente Kendo e Judo – che prestavano servizio nelle scuole. Lo scopo di questa istituzione era lo stesso della Butokukai, cioè la pratica dei bujutsu e la conservazione dello spirito samurai. Un punto focale nell’educazione degli istruttori di bujutsu delle scuole superiori era lo studio della lingua giapponese e dei classici della letteratura cinesi. Ciò era stato giudicato necessario affinché gli studenti praticanti di bujutsu fossero anche capaci di studiarne la teoria e comprenderle.

La Senmon Gakko era considerata uno dei migliori istituti d’istruzione per gli insegnanti di bujutsu del paese. L’ammissione era permessa senza nessuna eccezione soltanto ai candidati di sesso maschile. Inoltre, si doveva anche ottenere un grado minimo nel Budo. In caso di fallimento nell’ottenerlo, la laurea universitaria a questo istituto veniva negata. Nel Kendo, agli studenti del primo anno era permesso soltanto di praticare kirikaeshi (colpi diagonali alla testa sia da destra che da sinistra). Al secondo anno potevano soltanto fare kirikaeshi e kakarigeiko (violenta ripetizione di tecniche in coppia in simultanea).Jigeiko (incontro libero, senza punti) era permesso solo al terzo e quarto anno. Erano enfatizzati un forte spirito e delle basi salde. Le tecniche comprendevano anche la lotta, le zuffe e altre pratiche sconosciute al kendo moderno. L’allenamento era feroce, includendo anche incidenti.

Una volta al mese si svolgeva un “Incontro di Valutazione”, organizzato dagli studenti del quarto anno. Gli studenti dal terzo anno in giù erano tenuti ad ascoltare i loro “sermoni” e le loro esortazioni per circa due ore, inginocchiati in seiza. Nel caso di un fallimento nella vita di tutti i giorni o altro, come uno sbaglio nel mostrare cortesia o soddisfatta sottomissione, erano puniti fisicamente. Una forte relazione senpai-kohai con il tipico ordine gerarchico bacchettante era una cosa seria nella tradizione di questa scuola. I laureati in questa scuola ricevevano una licenza statale come insegnanti di scuole medie senza neanche avere l’obbligo di completare un adeguato corso d’insegnamento o un esame di abilitazione.

Dagli anni Venti agli anni Trenta il Budo ha goduto di una rapida crescita, comunque, come un osso nello scheletro del militarismo giapponese. Mentre colonialismo, militarismo e imperialismo erano stati chiaramente visibili per decenni, la guerra si espanse dall’Incidente in Manchuria (1931) fino alla 2nda Guerra Sino-Giapponese (1937-1945) e la Guerra del Pacifico (1941-1945) come parti della Seconda Guerra Mondiale. Il Budo così come la Butokukai, quale istituzione più prestigiosa e influente nell’istruzione, divennero strettamente associati all’ultranazionalismo e all’Impero. Le arti marziali giapponesi crebbero in questo lasso di tempo principalmente perché erano un ingranaggio nella macchina ideologica della mobilitazione nazionale.

Con la sconfitta del Giappone nel 1945, Il Comando Generale del Direttivo Generale delle Forze Alleate dissolse la Dai Nippon Butokukai e proibirono l’insegnamento del Budo nelle scuole e nelle università. La Senmon Gakko venne rinominata “Scuola Specializzata di Kyoto – Dipartimento di Studi Umani e Letterari” (!!!), ma chiuse le sue porte dopo l’ultima cerimonia di laurea nel Gennaio 1947.

Fu nella Senmon Gakko che nacque il saluto “osu!”. È lo sporco residuo di un obsoleto linguaggio maschilista, rasentante l’osceno, e l’espressione di un Budo ideologico strettamente correlato a ultranazionalismo, militarismo e megalomania imperiale

“Osu” o non “Osu”: per me non è un dilemma.




Salve a tutti, sono il traduttore 🙂

Per chi non conoscesse il Sig. Quast… beh, fate i compiti! Ad oggi è uno dei più famosi esperti accademici di storia delle arti marziali  analisi incrociate comparative. Ma lasciamo stare il curriculum e andiamo all’articolo.

La volontà di occupare gran parte dell’articolo con la storia (il background culturale) nasce dalla necessità per ogni linguista e archeologo di conoscere le circostanze in cui nascono gli oggetti d’indagine. Seppure sia vero che oggi il mondo del karate usa Osu a sproposito (dal semplice saluto alle condoglianze funebri), è altresì indubbio che le la base socioculturale da cui nasce questo termine è importante per comprendere tutti gli usi che se ne fanno e i loro derivati. Per dirla à la Marx: struttura che influenza sovrastruttura.

Il termine Osu nasce perciò in ambienti di stampo militare, maschilista, misogino e reazionario. Siamo ai tempi di Hitler, che era alleato di Hirohito.

Questo anni fa. Ora?

Beh, spero che i nazifascisti siano diminuiti drasticamente in numero (se non scomparsi, ma purtroppo non credo). Ma allora perché la gente continua a usare un termine a loro legato?
Comodità (è corto e secco, rapido come segnale), abitudine (“si è sempre fatto così…”), ignoranza (“ecché ne so io cosa vuol dire Oss?!”).

Beh, lo scopo dell’articolo IMHO è quello di instillare consapevolezza in chi legge, affinché la ricerca di un perché filologico si tramuti in un viaggio verso un perché anche (e non solo) pratico.

L'incomprensione del presente cresce fatalmente dall'ignoranza del passato.
Marc Bloch
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Spero che questo testo vi abbia fornito qualche indicazione importante e che d'ora in poi quando userete queste parola (io personalmente non la uso più) lo farete consapevoli di cosa state dicendo. 
Ringrazio ancora Karatesen e ovviamente anche l'autore originale per quanto ci ha reso noto.

Alla prossima

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